L’ANGOLO DELL’ESPERTO: GLI ADOLESCENTI E IL MONDO VIRTUALE, COSA FARE?

L’ANGOLO DELL’ESPERTO: GLI ADOLESCENTI E IL MONDO VIRTUALE, COSA FARE?

 

Siamo arrivati alla seconda puntata della rubrica “L’angolo dell’esperto”. Ogni mese uno psicologo del Centro Capta risponderà con la propria competenza ed esperienza a una lettera di chiunque voglia confrontarsi sui temi della genitorialità. Le lettere vanno scritte a info@centrocapta.it

 

Salve,
Ho bisogno di aiuto.
Sono una mamma di un ragazzino di 14 anni, in piena crisi adolescenziale…Non so più come “prenderlo”.
Sempre attaccato ai videogiochi o al cellulare…rischia anche di perdere l’anno (primo superiore).

Grazie per l’attenzione.

Una mamma preoccupata.

 

 

Gentile mamma preoccupata, quante altre mamma e papà condividono questa sua angoscia!

Purtroppo la capacità di smartphone e videogiochi  di tenere incollati i ragazzi è pervasiva e, a volte, totalizzante. Dicevo che non deve sentirsi sola in questo senso di impotenza di fronte a questo scenario: sempre più genitori riportano il suo stesso problema. Gli adulti, anche se usano gli stessi strumenti, di solito fanno difficoltà a comprendere il mondo virtuale in cui i ragazzi vivono e, non conoscendolo, ne sono spaventati.

Due elementi emergono dalla sua mail, la difficoltà nel “maneggiare” l’adolescente in cui si è trasformato il bimbo che è stato fino a questo momento suo figlio e, appunto, videogiochi e smartphone che mettono a rischio l’anno scolastico del ragazzo e sembrano una minaccia per il suo benessere.

L’adolescenza sembra trasformare i figli in alieni sconosciuti: il bimbo sereno diviene un semi-estraneo ostile che rifiuta i nostri tentativi di comunicazione e di contatto. Non è facile per i genitori. Può rassicurare il fatto che gli adolescenti riservano tale apparente ostilità proprio alle persone che amano di più, perché sanno benissimo che reggeranno il loro bisogno di sperimentare il distacco, il rifiuto, la ricerca di una propria identità, diversa da quella infantile e, soprattutto diversa da quella dei genitori. Il conflitto è sano in adolescenza, anche se reggerlo, a volte, porta grandi angosce agli adulti. I ragazzi ne hanno bisogno, lo usano come palestra per crescere e maturare. Si allontanano ma poi tornano alla “base sicura” della famiglia, per poi ripartire verso nuove esplorazioni, reali o virtuali.

L’adolescenza costringe i genitori alla difficile arte della negoziazione di regole, limiti e opportunità. Il “proibizionismo”, ormai è appurato dalla ricerca e dalla realtà, non funziona. Questo non significa concedere tutto, ma cercare di adottare un’ottica responsabilizzante piuttosto che un’ottica repressiva. Fin da piccolini i bambini andrebbero responsabilizzati in base e proporzionalmente alle loro capacità di reggere la responsabilità. Evitare gli sforzi, le fatiche, le conseguenze delle azioni dei bimbi e dei ragazzi non aiuta a interiorizzare la capacità di gestione di se stessi: se assumiamo noi totalmente il controllo del comportamento e la gestione di tempi, spazi e responsabilità dei bambini, quando saranno ragazzi continueranno a porre fuori di sé e non in se stessi, il controllo del proprio comportamento. L’autonomia e la responsabilità non si improvvisano, come non si improvvisa qualunque altra abilità e competenza.

Se si adotta un’ottica repressiva state certi che i ragazzi troveranno sempre il modo di bypassare controlli, password, blocchi: sono molto più competenti e capaci di qualunque adulto in questo. Non conviene intraprendere questa gara!!

Bisogna inoltre tener presente che i ragazzi in adolescenza hanno bisogno di comunità e riconoscimento dai propri pari, più di ogni altro adulto (che peraltro danno per scontato ci sia). I social (Instagram, Wathsapp, Facebook, oppure comunità di giochi on line) consentono di trovare queste “tribù” in modo facile e senza mettere “in gioco”, appunto, ciò che l’adolescente vive spesso come problematico o di impaccio: il proprio corpo. È molto più facile relazionarsi attraverso la tastiera di un telefono piuttosto che vis-á-vis. Da lì però possono partire per passare a incontri reali, se ci sono le condizioni per poterlo fare. I social possono facilitare le relazioni, e non vanno demonizzati.

Diventano rischiosi quando sostituiscono in toto le relazioni reali. Ma molto spesso, si crede questo succeda, quando invece si può scoprire che tutto quel tempo passato sui social coinvolge compagni di scuola e amici in carne ed ossa, con i quali i ragazzi possono condividere tempi altri, anche se non necessariamente in un tempo molto lungo come si aspetterebbero gli adulti.

Le relazioni oggi sono molto più veloci e fluide e, nel bene o nel male, questo segna una differenza dal passato.

 

Possiamo dare alcuni consigli ad uso dei naviganti nel burrascoso mare dell’adolescenza ai tempi del web, che, naturalmente, ognuno deve personalizzare e vagliare nella propria personale situazione:

  • Dare poche ma solide regole: tempi, spazi e forme di utilizzo, flessibili mano a mano che i ragazzi crescono e dimostrano responsabilità e autonomia.
  • Non spiare, ma vigilare (il computer non in camera ma in salotto, ad esempio).
  • il divieto non è utile, l’attenzione l’interesse per quanto fanno i ragazzi sì.
  • I social non sono una sostanza tossica ma uno strumento da imparare a usare.
  • È importante aiutare i ragazzi a distinguere vita privata e pubblica: non tutto è da porre in vetrina.
  • Non pensiamo che i nostri figli siano più grandi di quello che sono anche se sono brillanti e intelligenti sono solo all’inizio del loro sviluppo emotivo.
  • I ragazzi hanno bisogno di essere visti e pensati: app, social, pc non sono baby sitter. Diventano un rifugio se non ci sono esperienze belle e nutrienti, relazioni appaganti e coinvolgenti.
  • Non minimizzare eventuali problemi ma nemmeno assalire e giudicare.
  • Riportare costantemente alle conseguenze reali di determinate azioni, con esempi concreti e far assumere ai ragazzi eventuali conseguenze di azioni negative.
  • Costruire un dialogo intorno a questi temi. Come per tutte le cose, è utile parlarne, evitando lo spirito inquisitorio, ma dimostrando reale interesse.
  • Non combattere social e internet ma creare le occasioni e condizioni per esperienze positive e relazioni autentiche. Non si combatte il negativo se non introducendo del positivo.

 

Detto questo dobbiamo imparare a riconoscere i veri segnali di problematicità, cioè quando siam in presenza di dipendenza vera e propria, di «social addiction» o di  «gaming disorder»

La ricerca ci dice che oggi il 5% dei giovani risulta essere in uno stato di autentica dipendenza da social o da giochi on line. Quali gli indicatori  (se sono molti contemporanei) che possono segnalare la necessità di contattare uno specialista o un servizio che si occupa di dipendenze:

  • Molto tempo passato davanti computer o smartphone (più di due ore al giorno).
  • Senso di smarrimento se non c’è rete wi-fi o giga nel telefono.
  • Controllo ossessivo del telefono (in tutti i contesti e momenti).
  • Cambi di umore repentini e ingiustificati.
  • Tendenza depressiva: da confronto con la «realtà» virtuale degli altri.
  • Ansia e depressione. Queste sono aumentate del 70% tra i giovani nell’arco degli ultimi 25 anni (Ma attenzione! Correlazione non è rapporto di causa-effetto)
  • Isolamento sociale.
  • Impatto forte sulle abitudini di vita.
  • Usare i social come rifugio e non come potenziamento delle proprie relazioni
  • Mancanza di sonno (svegliarsi per controllare i messaggi sui social: lo confessa circa il 20% dei giovani).
  • Ossessione per come si appare (in particolare delle ragazze: nel 90% dei casi sono insoddisfatte del loro corpo)
  • Cyberbullismo: 7 giovani su 10 affermano di esserne stati vittima almeno una volta, e il 37% viene preso di mira di frequente.
  • “Fear of Missing Out” (FoMO): la paura pervasiva di essere esclusi da un gruppo social
  • Senso della propria identità estesa allo smartphone
  • Sintomi fisici: «pollice da smartphone», «text Neck» per la postura sbagliata, la tendinite al polso, abbassamento vista
  • Social più a rischio: Instagram, seguita da Snapchat, Facebook, Twitter e YouTube (quest’ultima percepita come meno “ansiogena”).

Attenzione comunque: la presenza di alcuni di questi indicatori non significa che la situazione si grave di per sé, va vagliato il senso e la pervasività del problema, caso per caso.

A conclusione vi consigliamo la visione di questo breve filmato (è possibile impostare i sottotitoli in italiano) https://www.youtube.com/watch?v=ao8L-0nSYzg&t=2s

Roberta Radich